CREDIT SUISSE, 26.05.2005

Alain Prost: "Ho conosciuto il fuoco e il ghiaccio."



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Intervista: Andreas Thomann, emagazine editor

Una leggenda vivente come pilota, ma come direttore tecnico un vero fallimento: Alain Prost, quattro volte campione del mondo di F1, ha fatto storia per due motivi profondamente diversi. Nella seconda parte dellŽintervista Alain Prost ricorda gli epici duelli con Ayrton Senna, gli anni degli eccessi nella Ferrari e il fallimento dell'esperienza come direttore tecnico della scuderia da lui fondata.

Signor Prost, lei ha conquistato il titolo di campione del mondo quattro volte, ma è arrivato secondo altrettante. A posteriori, la tormenta il pensiero che avrebbe potuto conquistare un palmarès ancora più ricco?
Beh, si può ripensare al passato migliaia di volte e domandarsi cosa sarebbe successo, se... Sicuramente alcune sconfitte sono state dolorose. Nel 1983 avevo solo due punti di distanza da Nelson Piquet, l'anno dopo Niki Lauda mi ha battuto addirittura per solo mezzo punto. E nel 1988, quando il titolo di campione del mondo è stato conquistato da Ayrton Senna, io avevo 11 punti in più rispetto a lui; in quegli anni, però, contavano solo gli undici risultati migliori. Più del numero di vittorie, per me conta il fatto che, a partire dal 1981, sono stato in corsa per il titolo praticamente in tutte le stagioni, spesso fino all'ultima gara.

Piquet, Lauda, Senna: questi tre piloti sono stati anche i più grandi rivali che lei ha dovuto affrontare nel corso della sua carriera nella Formula 1. Tra loro, chi ha ammirato di più?
All'inizio Piquet era sicuramente il modello con cui tutti gli altri si misuravano; era un combattente formidabile. Niki, invece, mi ha colpito per la sua costanza. Nel 1984, l'anno in cui ha conquistato il titolo mondiale, io ero stato quasi sempre più veloce di lui nelle gare, ma Niki aveva saputo gestire meglio le sue energie. Mi ha dato una lezione importante per il mio futuro. Se c'è però un pilota che ha saputo emergere dalla massa, tanto per la sua abilità nella guida quanto per la sua forza mentale, quello è Ayrton Senna.

I suoi duelli con Ayrton Senna sono entrati già da tempo nella storia della Formula 1. Da una parte il freddo ?professore?, dall'altra l'impulsivo brasiliano. Quanto c'è di vero in questo cliché?
Come in tutti i cliché, c'è sempre un pizzico di verità. E' comunque un dato di fatto che, nel corso della sua carriera, Senna si è avvicinato sempre di più al mio stile di guida.

E tra di voi c'era davvero quella grande rivalità su cui insistevano i media?
Ovviamente eravamo rivali. Durante due stagioni abbiamo persino gareggiato nella stessa squadra, quindi con lo stesso materiale. E nella Formula 1 vale il detto che il tuo compagno di squadra è anche il tuo principale avversario. Infatti, solo due piloti che fanno parte della stessa squadra possono essere confrontati direttamente.

A meno che non vi sia un ordine prestabilito dalla scuderia.
E' vero, ma a quei tempi alla McLaren non era così. La squadra puntava consapevolmente sulla competitività. E i fan ne erano entusiasti. E' stato grazie alla nostra rivalità che molte persone hanno iniziato a seguire la Formula 1. Ovviamente anche i media e gli sponsor hanno contribuito in larga misura. Comunque, anche se tra di noi c'era una rivalità molto accesa, non abbiamo mai perso il rispetto reciproco.

Perché, nonostante tutto, nella stagione 1990 è passato alla Ferrari?
In tutta sincerità, ero un po' stufo di fare sempre il lavoro al posto di Ayrton. Mentre lui in inverno se ne andava in vacanza per tre mesi, io macinavo centinaia di chilometri per mettere a punto la macchina. Perciò, a metà della stagione ho comunicato alla squadra che non avevo intenzione di rinnovare il contratto. Allora non avevo idea di dove sarei andato a finire.

I due anni alla Ferrari sono stati di gran lunga meno fortunati dei sei anni precedenti nella McLaren. Oggi rimpiange la scelta che fece allora?
Assolutamente no. Il primo anno è stato fantastico, forse il più bello di tutta la mia carriera. La squadra ha lavorato in modo straordinario e l'atmosfera era unica. Se la direzione avesse dimostrato più lungimiranza, avrei anche potuto conquistare il titolo mondiale. La stagione successiva, invece, si è rivelata un disastro: non siamo riusciti a conquistare una sola vittoria e io sono finito al terzo posto. L'atmosfera, di conseguenza, è cambiata radicalmente. Nelle due stagioni, quindi, ho conosciuto tutte e due le facce della Ferrari, il fuoco e il ghiaccio.

Anche l'avventura come direttore tecnico della sua scuderia è finita in modo disastroso. Che cosa è andato storto nella Prost Grand Prix?
Prima di tutto, le nostre aspettative sono andate in frantumi. Avevamo iniziato praticamente dal nulla e, dopo la Minardi, avevamo il budget più limitato tra tutte le squadre della Formula 1. In tali circostanze ci vogliono anni prima di raggiungere il vertice. Ed è necessario essere sostenuti da partner solidi, che a noi invece mancavano. Soprattutto alla Peugeot, che ci forniva il motore, mancava fin dall'inizio la motivazione per affermarsi a lungo termine nella Formula 1. A tutto ciò si è aggiunta anche la crisi economica, che ha reso ancora più difficile la ricerca degli sponsor. Per esempio, avevamo appena concluso un accordo con la rete televisiva sudamericana PSN, quando questa ha dichiarato fallimento. Avevamo un accordo anche con Yahoo, ma poi è arrivata la crisi di Internet. Eravamo entrati in una spirale dalla quale non era più possibile uscire.


Considerando gli avvenimenti a posteriori, che cosa avrebbe fatto in modo diverso?
In realtà, c'è una sola cosa che farei in modo diverso: non inizierei proprio. In tutte le decisioni che sono venute in seguito, spesso mi sono ritrovato a non avere scelta. Dal punto di vista finanziario, avevo le spalle al muro.

Esiste una somiglianza tra Michael Schumacher, il pilota che negli ultimi anni ha dominato la Formula 1, e il grande Alain Prost, quattro volte campione del mondo?
Naturalmente si possono sempre trovare delle analogie tra campioni. Credo però che il suo stile di guida sia piuttosto diverso dal mio, e anche la sua carriera ha seguito un percorso differente. Inoltre, lui è il numero uno della Ferrari, mentre io non sono mai stato il numero uno di nessuna squadra, sono stato piuttosto molte volte il numero due.

Eppure, proprio come lei, anche Schumacher è noto per la sua tattica, per la freddezza con cui in gara valuta tutte le alternative...
Oggi la tattica non viene più decisa tanto dal pilota quanto dalla squadra. Per di più, ora le macchine sono molto più affidabili, perciò il pilota deve prestare meno attenzione a non affaticare le gomme, il cambio o il motore. Tutto questo rende estremamente difficile il confronto tra piloti di diverse generazioni.

A febbraio lei ha compiuto cinquanta anni, eppure continua a correre regolarmente, gareggiando nell'ambito del campionato di rally sul ghiaccio "Trophée Andros" al volante di una Toyota Corolla. Le gare automobilistiche sono una droga?
Beh, se una cosa piace, perché smettere di farla? Nel periodo in cui sono stato direttore tecnico non sognavo certo di tornare in pista. Poi, però, la vecchia passione si è riaccesa. Correre sul ghiaccio è un'esperienza completamente nuova per me, e questo la rende eccitante. E, per di più, è assolutamente priva di pericoli. Alla mia età, infatti, non corro più rischi?




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